All’Aquila proteste contro gli espropri e la militarizzazione

La Protezione civile ha iniziato ad applicare la procedura prevista nel decreto del 28 aprile per requisire i terreni per i moduli abitativi. Proteste degli abitanti. I giornalisti aquilani contestano la militarizzazione della città. Martedì il decreto in aula al Senato.

E sono arrivati. Nonostante il testo definitivo del decreto deve ancora uscire dalle aule parlamentari, nonostante gli emendamenti proposti dal governo debbano ancora chiarire agli aquilani quale potrà essere il futuro della ricostruzione, sono arrivati. Pattuglie di tecnici della Protezione civile, accompagnate dalla Polizia e dalla Croce rossa, da ieri mattina hanno iniziato a ispezionare, misurare, recintare e infine espropriare le 20 aree dove, «nei prossimi sei mesi» dovranno sorgere i Complessi antisismici sostenibili ed ecocompatibili, i famigerati C.a.s.e.. Un acronimo beffardo per i primi proprietari di piccoli e medi appezzamenti di terreno, spesso il frutto del lavoro di una vita o di più generazioni, che senza essere stati informati preventivamente hanno ricevuto la poco cortese visita degli uomini di Bertolaso.
Si è iniziato a Santa Rufina di Roio, alle pendici del Gran Sasso, e poi a Pagliare di Sassa. Ma, primo problema, le mappe catastali in mano alle pattuglie della Protezione civile non sono aggiornate. A Pagliare di Sassa, per esempio, non risultava sulla mappa un centro commerciale, ancora incompiuto, che il comune voleva acquistare nel suo patrimonio. Ci sono state proteste, con i proprietari dei terreni individuati che hanno contestato il decreto di occupazione, la fase propedeutica all’esproprio. Hanno fatto notare alle pattuglie che vicino ai terreni «individuati» c’era un’area demaniale di una ventina di ettari che avrebbe potuto essere usata senza espropriare nessuno. Contestazioni ci sono state anche ad Assergi e a Sant’Elia, altre aree del vasto territorio dell’Aquila individuate per gli insediamenti delle C.a.s.e.. A nulla sono serviti finora gli appelli all’intervento del sindaco dell’Aquila Massimo Cialente e gli abitanti iniziano a sperimentare quanto la ricostruzione «centralizzata» escogitata dal governo possa diventare un rullo compressore: la Protezione civile non ha intenzione di mollare e vuole continuare con gli espropri, anche se nemmeno gli indennizzi sono stati quantificati e non si sa se dipenderanno dalla destinazione originaria del terreno espropriato e da quella successiva all’edificazione delle C.a.s.e.. Le proteste arrivano anche da parte delle amministrazioni locali perché gli espropri e le successive edificazioni modificano – è scritto nel decreto – i piani regolatori. Nulla, a quanto pare, è stato contrattato con le amministrazioni localie e meno che mai con i cittadini che hanno deciso di riunirsi in un nuovo comitato per contestare il merito e il metodo degli espropri.
Intanto, dopo dieci ore di maratona di lavori parlamentari, nella notte la Commissione ambiente del Senato ha dato il via libera al decreto 39, che è stato calendarizzato per la discussione in aula a partire da martedì 19 maggio.
E all’Aquila arriva forte la protesta dell’Ordine regionale dei giornalisti che denuncia il clima di pesante militarizzazione che si respira nel capoluogo abruzzese: «La volontà dei giornalisti abruzzesi di contribuire alla rinascita dell’Aquila cozza con una evidente militarizzazione della citta’», ha detto il segretario dell’Ordine dei giornalisti d’Abruzzo, Sergio D’Agostino, secondo il quale «questa mattina si è arrivati all’assurdo di impedire perfino al presidente dell’Ordine abruzzese, Stefano Pallotta, di seguire le operazione di installazione del conteiner con l’ufficio provvisorio del Consiglio dell’Ordine. Quell’ufficio rappresenta un presidio per tutti i giornalisti abruzzesi ed italiani, che dal 6 aprile lavorano all’Aquila per consentire alla pubblica opinione di tenere costantemente i fari accesi sulla tragedia del capoluogo. La sua riapertura, che dovrebbe essere salutata come un contributo alla normalizzazione della vita cittadina, viene invece ostacolata di fatto con una incomprensibile militarizzare dell’area. Farlo, vuol dire impedire ancora la ripresa di un’attivita’ che tra le tante ha un evidente valore simbolico: come potranno mai entrare all’Aquila i giornalisti abruzzesi, se neppure il presidente dell’Ordine è in grado di varcare ceck-point degni piu’ di una localita’ mediorientale che di una citta’ in cui tutti gli abruzzesi vogliono tornare a vivere e operare normalmente?». «Non vorremmo altrimenti dover pensare -conclude il segretario dell’Ordine – che invece l’obbiettivo reale, come pure denunciato nei giorni scorsi anche dal servizio pubblico radio-televisivo, sia quello di avere nell’area aquilana giornalisti ‘embedded’, cioe’ sotto stretto controllo, arrivando perfino a limitare l’attività degli organismi rappresentativi dei giornalisti».
Di certo c’è che il clima di plauso continuo per il governo e per Bertolaso che si respirava nei primi giorni del terremoto è ormai definitivamente tramontato. Il capo della Protezione civile e il presidente del consiglio non possono più contare sull’emozione suscitata dall’emergenza per far passare qualsiasi decisione sopra la testa degli aquilani. Ci sarà proprio un bel clima, a luglio, per il G8.

2 commenti

  1. “”informazione..embedded””
    Tanti i commenti che si possono fare su quest’articolo e, più in generale, sulla ricostruzione e sulla farsa dei contributi. Ma una cosa che ho notato con inquietudine è ritrovare in questo articolo il riferimento ad una cosa che mi ronza in testa dai primi giorni dopo il terremoto: i cosiddetti giornalisti “embedded”.
    Ebbene sì, fin dall’inizio anche io avevo avuto una inquietante sensazione di informazione “controllata”, rigorosamente tenuta “sotto tutela” dalla protezione civile. Mi era subito venuto in mente il modello “guerra in iraq” e i giornalisti “embedded” al seguito dell’esercito USA, che raccontavano la guerra vista solo da una parte, la parte dei più forti!

    Perché quelle telecamere puntate solo in alcuni ben precisi punti? perché il totale silenzio su tragedie (via sturzo, via campo di fossa, hotel duca degli abruzzi, etc.) numericamente anche molto più gravi di quelle quotidianamente portate nelle case di tutta italia con la tv e i giornali? perché il black out sulla reale situazione del centro storico dell’aquila, del quale non abbiamo più visto alcuna immagine? perché il continuo martellamento sul numero di case agibili pari al 50% del totale (rigorosamente in termini percentuali e mai in valori assoluti) senza mai dire su quali cifre è valutata questa percentuale? perché l’insistenza sulla comunicazione di presunte “buone notizie”, anche se ridicole (come gli chef che cucinano i pranzi di pasqua o i parrucchieri nelle tendopoli a pasquetta o, infine, l’ottimismo dilagante che vorrebbe tutti gli aquilani rientrare al più presto nelle loro case mentre la terra trema ancora!) e mai un accenno alle reali difficoltà di vita delle famiglie abruzzesi nelle tende, negli alberghi, negli alloggi di fortuna? perché tanta enfasi su una inesistente riapertura delle scuole (poche classi di scuola materna nelle tende) in occasione della visita della Gelmini e mai una seria documentazione su come stanno studiando gli studenti rimasti all’aquila o trasferiti negli alberghi sulla costa? perché tanta confusione sul decreto relativo alla ricostruzione, senza mai un tentativo di capire e di spiegare la reale esistenze/inesistenza dei fondi e le vere modalità di erogazione ai terremotati, cioè pochi fondi, senza copertura, costi tutti a carico dei terremotati, solo per le prime case e con restituzione spalmata su 23 anni? per non parlare della verità sulla questione G8, che meriterebbe fiumi di inchiostro.
    vista la scarsa disponibilità dei maggiori organi di informazione e’ il caso di cominciare a parlarne su tutti gli altri mezzi disponibili, in primis sul web, cercando di raccontare le cose come stanno. anche perché il tempo non è molto e il voto delle prossime elezioni è l’unico modo che resta agli aquilani di farsi sentire.
    infine…..una proposta per la campagna 100percento:
    ribadire con forza che il contributo deve essere tutto in forma diretta, a fondo perduto e deve coprire per intero i costi di ricostruzione di tutte le abitazioni, e non solo delle prime case! come in umbria e marche. è l’unico modo per cercare di ottenere una ricostruzione seria della città e del territorio…e il decreto in discussione non dà in questo alcuna certezza, anzi!
    buon lavoro. sandra v.

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