La strategia dello spopolamento crea vuoti e insicurezza

Il “dibattito” sugli ultimi episodi di violenza nel centro dell’Aquila è deprimente. Un tema complesso, come le nuove conflittualità sociali dentro le città occidentali, non può essere affrontato in modo banale e retorico, ma attraverso processi lunghi e soluzioni appunto complesse.

Bisogna innanzitutto sgombrare il campo dalla propaganda: all’Aquila non esiste alcuna invasione, poiché vivono poche decine di minori stranieri non accompagnati, in media con il resto della provincia italiana. Il problema, semmai, è l’aumento della povertà generalizzata, frutto di quarant’anni di politiche che hanno lasciato in macerie i poveri, aumentando a dismisura le disuguaglianze, in Italia e nel mondo.

In centro storico questa dinamica è resa ancora più evidente dal processo di svuotamento di abitanti, così com’è lampante anche in altri centri di frazioni abbandonate della città o nei quartieri popolari, vissuti da cittadine e cittadini che escono dall’invisibilità solo quando si avvicinano le elezioni. Quando i luoghi vengono spopolati quei vuoti si riempiono spontaneamente (non solo di tavoli dei bar), soprattutto in assenza di politiche sociali efficaci. La stupida miopia sui falsi miti del turismo e del decoro fanno il resto.

Oggi il centro è il tragico risultato di tutto questo: un luogo di consumo, senza opportunità di aggregazione sociale, con le piazze blindate dalle telecamere e dalle tende per gli eventi. Ma soprattutto svuotato dei suoi abitanti, in spazi dove si insinua facilmente la violenza perché è il contesto stesso a generare disuguaglianze, alla radice di ogni prepotenza.

In un luogo dove non esistono spazi di confronto e partecipazione, il dibattito pubblico viene relegato al web perché non esiste lo spazio pubblico reale. Per questo la comunità è incapace di reinventarsi. In questo senso, consumo e microdelinquenza sono solo due facce della stessa medaglia.

Telecamere, daspo e repressione sono quindi parte del problema, non della soluzione. Anche perché se povertà e violenza vengono espulse dalle mura non cessano di esistere, anzi.

È una dinamica che conosciamo bene, perché gli stessi vuoti, abbandono e cecità istituzionale vengono sperimentati quotidianamente nel parco di Collemaggio. Ogni giorno, da 15 anni, apriamo CaseMatte lottando contro ogni tipo di sopraffazione e violenza, ma coscienti di stare dentro a queste contraddizioni.

È necessario sostenere le strutture che accolgono i minori, collaborando e incentivando quelle con le figure adatte a un lavoro delicato come questo, e marginalizzando quelle che pensano solo al solo profitto, sfruttando anche lavoratrici e lavoratori, oltre che fallendo nella loro funzione socio-educativa.

La nostra comunità ha bisogno di politiche sociali coraggiose che coinvolgano innanzitutto chi subisce il peso delle disuguaglianze e che generino alternative al consumo e alla logica della prepotenza. Non abbiamo bisogno di una “città rinata” ma di una comunità consapevole delle contraddizioni e delle complessità del nostro tempo. Di una città senza comunità non sappiamo che farcene.